POSTATO DAL PROF DI ITALIANO:
Non so se avete già studiato
Napoleone, comunque vi invito a leggere questo articolo su una delle più famose
battaglie mai combattute
Duecento
anni fa, il 18 giugno 1815, nella campagna belga andava in scena la più
studiata e raccontata delle battaglie, costata la vita a cinquantamila uomini e
l’esilio a Napoleone
Come andò davvero a Waterloo
di Stefano Malatesta
Come Napoleone è stato il
soggetto su cui si è più scritto dopo Gesù Cristo, così la battaglia di
Waterloo è stata la più studiata di tutte le battaglie, antiche e moderne.
Tutti questi contributi, francamente in eccesso, non hanno aiutato a far chiarezza
ma semmai a rendere le modalità dello scontro più oscure. Le tesi su come andò
veramente sul campo di Waterloo sono innumerevoli e tutte in contrasto tra
loro. C'è la versione trash per i giornali popolari: Napoleone era in cattive
condizioni perché sofferente di emorroidi, una tesi buona per Il Vernacoliere (1) di Livorno ma
ovviamente non per una ricostruzione storica. La maggior parte degli autori è
comunque convinta che Napoleone non fosse più lui, fisicamente e
intellettualmente. Aveva messo su pancia, i capelli — seppure pettinati alla
Bonaparte — non gli coprivano più il cranio ed erano ridotti a un ricciolino
sulla fronte. Ma questo non prova che il Generale avesse perso le sue doti di
tattico e di stratega, le stesse che gli avevano fatto vincere fino ad allora
qualcosa come settanta battaglie.
La marcia che lo portò a Waterloo
era riuscita perfettamente ed è stata una delle più veloci, se non la più
veloce, mai compiuta dai soldati francesi. La rapidità degli spostamenti delle
sue truppe era sempre stata la base delle sue vittorie: Napoleone non è stato
l'inventore della guerra totale, è stato semplicemente il primo esecutore e
quello che l'ha sfruttata al meglio delle sue possibilità, talmente gli era
congeniale. Una cultura della guerra ereditata dai classici greci, che
combattevano totalmente e in modo spietato facendo pochi prigionieri. Una
volta, prima del periodo moderno, le battaglie facevano parte della vita
quotidiana, come il raffreddore o le tasse. Ogni comunità ne combatteva un'altra
e si aspettava di essere combattuta. Gli scontri avvenivano secondo rituali
prestabiliti. Spesso i comandanti non erano dei veri comandanti, ma dei dandy (2)
in trasferta militare: il duca di Cumberland si lasciava dietro dei cannoni per
far posto alle centoquarantacinque tonnellate di bagaglio indispensabili al suo
ménage; il principe di Soubise, il comandante della spedizione franco-austriaca
contro Federico II, travolto da una famosa carica della cavalleria prussiana
guidata da von Seydlitz, si trovava meglio a Versailles a ciaccolare
ininterrottamente con la Pompadour, la sua protettrice, che sul campo di
battaglia. O che dire del duca di Richelieu, che era celebre per la forte scia
di profumo che lasciava ovunque andasse.
Comunque. Un'altra versione
sostiene che la pioggia caduta in maniera anomala nella settimana prima di
Waterloo avrebbe impedito all'artiglieria di avanzare nel terreno diventato una
palude fangosa e di appoggiare la famosa carica della cavalleria pesante
guidata dal maresciallo Ney. Napoleone era stato un eccellente ufficiale di
artiglieria e aveva dato prova, durante l'assedio di Tolone, della sua capacità
straordinaria di maneggiare cannoni che si trascinava sempre con sé a costo di
durissime fatiche. Tutti i suoi piani di battaglia erano studiati in funzione
delle armi pesanti. La chiave delle sue vittorie stava nel far convergere
l'artiglieria in un punto preciso. Trattava gli eserciti nemici come una
cittadella, da abbattere in breccia. Sfondare i quadrati, polverizzare i
reggimenti, rompere le linee, tritare e disperdere le masse: tutto questo era a
carico del cannone.
Un racconto accuratissimo della
battaglia venne scritto ventidue anni più tardi da Victor Hugo (3) nella parte
seconda del primo libro de Les Miserables
. Per orientarsi lo scrittore era andato sul posto, visitando tutti i luoghi
ormai entrati nel mito come le colline di Saint Jean e il castello di
Hougoumont. E proprio da Hougoumont parte il suo grande affresco del feroce
scontro: "...A fianco della cappella un'ala del castello, il solo avanzo
che rimanga del maniero di Hougoumont, si staglia distrutta, si potrebbe dire
sventrata. Il castello servì da torrione, la cappella da fortezza. Vi si fece
uno sterminio. (...). La spirale delle scale, screpolate dal pianterreno al soffitto,
appare come l'interno di una conchiglia spezzata. Tutto il resto somiglia a una
mascella sdentata. Vi sono due vecchi alberi: uno è morto, l'altro è ferito al
piede, e rinverdisce in aprile. Dopo il 1815 si è messo a germogliare...".
Secondo Hugo, il piano di
battaglia dell'imperatore, per riconoscimento unanime, era un capolavoro: i
francesi dovevano andare verso il centro della linea alleata il più rapidamente
possibile, sfondarla, tagliarla in due, spingere le truppe britanniche su Alle
e quelle prussiane su Tengres, superare le colline di Saint Jean, dove era
attestato Wellington (4), gettarlo in mare, gettare nel Reno Blucker e arrivare
a Bruxelles. Alle quattro del pomeriggio, la situazione dell'armata inglese si
era fatta preoccupante. Wellington non aveva più Hougoumont, conquistato dalla
fanteria francese, come copertura difensiva. Un suo subalterno gli chiese: «My
lord, che cosa dobbiamo fare?» e Wellington seccato dalla domanda rispose
urlando a piena gola come non aveva mai fatto «Dobbiamo resistere!». Se
Napoleone fosse riuscito a portare anche solo una parte dei suoi duecento
cannoni, in modo da mettere sotto tiro le colline di Saint Jean, allora la
carica della cavalleria sarebbe stata molto facilitata. Ma ogni battaglia ha
una sua sorte e quella di Waterloo è stata molto differente da Austerlitz (5),
dove all'inizio Napoleone era costretto a muoversi alla cieca per la nebbia che
invadeva tutto il campo di battaglia. Poi la nebbia venne sgomberata dal sole e
allora l'imperatore, avendo davanti a sé una chiara prospettiva di vallate e di
colline, poté manovrare a suo piacimento, e le truppe francesi si mossero con
l'eleganza di una parata. A Waterloo, dove aveva piovuto per tutta la settimana
precedente, il terreno non fece in tempo ad asciugarsi e il tentativo di
trascinare i cannoni più avanti finì nel fango.
A quella stessa ora, dicevamo,
nel campo francese tutti sembravano tranquilli e certi della vittoria, o almeno
così volevano far vedere. Napoleone era di ottimo umore, aveva scherzato con la
truppa e con i marescialli. Durante la colazione, alle otto, erano stati
invitati parecchi generali. Mangiando, avevano raccontato che alla vigilia
Wellington era stato visto a Bruxelles, al ballo della duchessa di Somerset. E
Soult, rozzo soldato con la faccia da arcivescovo, aveva commentato: «È oggi
che si balla sul serio». Il primo pomeriggio, passò in rassegna la cavalleria:
erano tremilacinquecento uomini, rappresentavano un fronte di un quarto di
lega. Erano ventisei squadroni, appoggiati da centosei gendarmi scelti,
millecentonovantasette cacciatori e lancieri della Guardia, portavano l'elmo
senza criniera e la corazza in ferro battuto, le pistole di arcione nelle
custodie e la lunga sciabola a spada. Durante la rivista, la banda suonò: Veillons
au salut de l'Empire. Gli ussari avevano i dolmans (6) e gli stivali
rossi a mille pieghe, i soldati della Garde (7) portavano i loro colbacs a
fiamma, o sable taches fluttuanti. All'estrema sinistra c'erano i corazzieri di
Kellermann e all'estrema destra i corazzieri di Milaud.
Napoleone guardava al binocolo i
movimenti dei quadrati delle giubbe rosse. Quando si accorse che gli inglesi
stavano indietreggiando, si sentì più sicuro e diede il via alla più grande
carica di cavalleria mai registrata nelle storie militari.
Hugo racconta che "prima di
salire per l'ultima erta, la cavalleria si trovò davanti un burrone più che una
fossa, inaspettato e profondo, aperto a picco. I cavalli si impennarono, si
gettavano indietro, cadevano sulla groppa agitando le quattro zampe in aria,
pestando e rovesciando i cavalieri. Non c'era più modo di indietreggiare perché
la colonna era diventata un proiettile e la forza acquistata per schiacciare
gli inglesi, schiacciò invece i francesi. Nel burrone inesorabilmente,
cavalieri e cavalli ruzzolarono dentro, triturandosi gli uni con gli altri,
formando una carne sola in quel baratro. Si dice che duemila cavalli e
millecinquecento uomini furono sepolti in quell'orrido luogo". I
superstiti continuarono la loro carica, raggiunta la collina di Saint Jean
sempre al galoppo "ventre a terra, briglie sciolte, sciabole tra i denti,
pistole in pugno, attaccarono i quadrati delle giubbe rosse. Non fu più una
mischia, fu una furia, un vertiginoso impeto di anime e di corazze, un uragano
di spade scintillanti. In un istante, i millequattrocento dragoni e guardie si
ridussero a ottocento. Ci furono dodici assalti, Ney ebbe quattro cavalli
uccisi sotto di lui. La metà dei corazzieri rimase sul poggio. Questa lotta
durò due ore. La carica era fallita".
La catastrofe raccontata in
maniera splendida da Hugo è all'altezza della sua fama romanzesca, ma è una
balla colossale. Non finirono in nessun burrone i cavalieri francesi,
semplicemente furono respinti dai quadrati delle giubbe rosse, che sembravano
dei porcospini che sputavano fuoco, con tutte le baionette innescate dai
soldati inginocchiati nella prima fila e i fucilieri in piedi che sparavano a
colpo sicuro. Le cariche non furono dodici ma cinque e sul campo di battaglia.
E su tutti dominava la figura di Wellington, che Napoleone non considerava un
grande generale: in mattinata aveva detto che gli avrebbe dato la lezione che
si meritava. Ma ora la lezione la stava prendendo lui. Verso sera quando le
sorti della battaglia erano ormai segnate, Napoleone fece un ultimo gesto,
accompagnando l'estremo attacco della guardia imperiale per qualche centinaia
di metri. La Garde scomparve nelle alture per qualche decina di minuti e nel
campo francese qualcuno ancora sperava nel miracolo. Invece si sentì un urlo
mai udito prima in tutte le battaglie napoleoniche: « La garde recule! » (8).
Quando venne la notte solo un
quadrato francese resisteva. A ogni carica gli uomini del quadrato diminuivano,
ma quelli che rimanevano continuavano a combattere, riuscivano sempre a
rispondere con la mitraglia. Tutta l'armata inglese aveva circondato il
quadrato. Un generale, secondo alcuni Colville, secondo altri Maitland, gridò
loro: «Prodi francesi, arrendetevi!». Cambronne rispose con una parola sola,
diventata la più celebre di tutta la storia militare francese. Hugo sostiene
che questa parola era censurata e che fu lui il primo a scriverla in originale.
La parola era: « Merde! ».
(pubblicato da la Repubblica il 7 giugno 2015)
(1) Il Vernacoliere = “mensile di satira, umorismo e
mancanza di rispetto” pubblicato a Livorno
(2) dandy = uomo vistosamente elegante nei modi e nel
vestire, oppositore della borghesia e della mediocrità da essa rappresentata;
il dandismo ebbe successo nel periodo della Restaurazione francese
(3) Victor Hugo = uno dei più celebri scrittori francesi,
autore di romanzi fondamentali come “Notre-Dame de Paris” e “I Miserabili” e di
numerosi drammi teatrali
(4) Wellington = Arthur Wellesley, duca di Wellington, era
il comandante dell’esercito inglese nella battaglia di Waterloo
(5) Austerlitz = la battaglia di Austerlitz fu una delle più
grandi battaglie che videro Napoleone vincitore contro le armate
russo-austriache; ebbe luogo nel 1805
(6) dolmans = il dolman era la tipica giacchetta decorata
con tanti bottoni sul davanti che fungeva da divisa degli ussari, i soldati
della cavalleria leggera
(7) Garde = la Guardia imperiale, un corpo di soldati scelti
il cui compito era quello di proteggere Napoleone
(8) La garde recule = la guardia indietreggia