giovedì 16 luglio 2015

14 luglio 2015

POSTATO DAL PROF D'ITALIANO:

Come sapete il 14 luglio è il giorno in cui iniziò, con la presa della Bastiglia, la Rivoluzione francese.
Questa è una foto scattata a Parigi 2 giorni fa:


Questa invece è una famosa canzone francese, di un famosissimo cantante, in cui si parla anche del 14 luglio:

Georges Brassens: La mauvaise réputation

Ecco cosa dice (se sei interessato al testo in francese, cercatelo):

LA CATTIVA REPUTAZIONE

Al paese, senza menar vanto,
Ho una cattiva reputazione.
Che mi agiti o resti fermo
Passo per un non-so-che.
Eppure non faccio torto a nessuno
Per la mia strada d'ometto tranquillo.
Ma alla gente perbene non piace
Che si segua altra strada che la loro,
No, alla gente perbene non piace
Che si segua altra strada che la loro.
Tutti sparlano di me,
A parte i muti, naturalmente.

Il giorno del 14 luglio
Me ne resto in panciolle a letto;
Della musica che marcia al passo
Non me ne importa nulla.
Eppure non faccio torto a nessuno
Se non ascolto squillar la tromba.
Ma alla gente perbene non piace
Che si segua altra strada che la loro,
No, alla gente perbene non piace
Che si segua altra strada che la loro.
Tutti mi segnano a dito,
A parte i monchi, naturalmente.

Quando incrocio un ladro sfigato
Inseguito da un bifolco,
Allungo la gamba e, perché non dirlo?
Il bifolco si ritrova per terra.
Eppure non faccio torto a nessuno
Lasciando scappare chi ruba una mela.
Ma alla gente perbene non piace
Che si segua altra strada che la loro,
No, alla gente perbene non piace
Che si segua altra strada che la loro.
Tutti mi s'avventano addosso,
A parte gli sciancati, naturalmente.

Non serve esser Geremia
Per indovinare la mia sorte:
Se trovano una corda di loro gusto
Me la passeranno al collo.
Eppure non faccio torto a nessuno
Se non seguo le strade che portano a Roma.
Ma alla gente perbene non piace
Che si segua altra strada che la loro,
No, alla gente perbene non piace
Che si segua altra strada che la loro.
Tutti verranno a vedermi impiccato,
Tranne i ciechi, naturalmente.



Ora, vedete voi se preferite i fuochi d'artificio o Georges Brassens!

Il dito medio del gorilla!

POSTATO DAL PROF. DI ITALIANO:



È estate e, a causa del caldo eccessivo, il cervello se ne va in vacanza (succede a chi ce l'ha, naturalmente, un cervello! Chi non ce l'ha, non ha problemi). Così si riempiono gli spazi a disposizione (in questo caso il sito internet de la Repubblica - oggi, 16 luglio 2015) con le stupidaggini più assurde. Come questa, che pubblico perché anch'io - probabilmente - ho il cervello in vacanza!


Accordo sul nucleare tra U.S.A. e Iran

PUBBLICATO DAL PROF. D'ITALIANO:

Leggete questo articolo su un evento che passerà alla storia, speriamo in senso positivo! 
Pubblicato da la Repubblica il 15 luglio 2015



La svolta nucleare
ecco l'accordo tra Usa e Iran che può cambiare il mondo
Di BERNARDO VALLI

Abitanti di Teheran, la capitale dell'Iran, festeggiano l'accordo appena firmato

Ci sono voluti più di 35 anni per riavvicinare il grande Satana (1) e il regime canaglia (2), caposaldo dell'asse del male. Ci vuol tempo per sradicare gli insulti diventati dogmi. La diplomazia ha dovuto faticare, ma si è rivelata più efficace delle armi in agguato. Nel mondo irrequieto, sbrigativo nell'uso della forza, è un segno di saggezza. La rivalità tra l'America bollata dall'Iran come satanica e l'Iran definito dall'America canagliesco si è risolta la mattina del 14 luglio, dopo tredici anni di trattative, in un accordo sul nucleare che resta ricco di incognite, che non è ancora la pace, ma che è pur sempre una vittoria dell'intelligenza umana, emersa con fatica dal fanatismo e dal sospetto. Il defunto imam Khomeini, fondatore della teocrazia (3) iraniana, si stupirebbe di quel che è accaduto all'Hotel Palais Coburg di Vienna, dove i suoi successori hanno raggiunto un'intesa con gli americani, inassolvibili nemici dal 4 novembre 1979, giorno in cui gli studenti di Teheran, esaltati dalla rivoluzione e dalla caduta dello scià, assaltarono l'ambasciata Usa. E furono presi come ostaggi 66 diplomatici e impiegati.
L'intesa di Vienna è il primo passo. Resta l'approvazione dell'Onu che si annuncia rapida. Poi la ratifica del Majlis (Parlamento) di Teheran, anticipata dall'approvazione della Guida suprema Khamenei senza la quale non ci sarebbe stato un accordo: e infine quella più problematica, entro due mesi, del Congressso di Washington, dove non mancano i nemici dell'intesa con l'Iran. Gli scettici, gli indecisi si trovano tra i repubblicani e i democratici.
E sono particolarmente attivi coloro che sono d'accordo col primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, da sempre favorevole a un intervento armato e adesso pronto nel denunciare, affiancato da un imprevedibile alleato di fatto, l'Arabia Saudita, come uno storico errore l'accordo di Vienna. Benché Barack Obama dica con toni rassicuranti che sia basato "sui controlli e non sulla fiducia". Controlli che dureranno tra i dieci e i quindici anni.
Le scuole di pensiero sulla grande impresa diplomatica sono tante. Quella positiva sottolinea con ragione che non si tratta di un semplice affare regionale. La sua portata è internazionale perché riguarda la proliferazione nucleare, quindi è un esempio che non si limita alla pace e alla sicurezza in Medio Oriente, ma si estende al Pianeta. L'accordo autorizza il nucleare civile ed esclude quello militare. Dovrebbe dissuadere i grandi paesi sunniti, come l'Arabia Saudita, a dotarsi della bomba atomica, intimoriti dall'idea che l'Iran, l'avversario sciita, stia per averne una. Per quanto riguarda Israele non ha firmato il patto di non proliferazione e disporrebbe di armi nucleari da tempo. Fu la Francia, quando era stretto alleato dello Stato ebraico, a fornirgli negli anni Cinquanta il primo know how (4) necessario.
Il documento di Vienna limita con precisione la capacità d'arricchimento dell'uranio, riducendo il numero delle centrifughe, e in generale l'attività di ricerca e di sviluppo. Un meccanismo ristabilisce le sanzioni (5) automaticamente in caso di violazione dell'accordo, e comunque esse non vengono sospese tutte insieme, ma via via che sono assolti gli impegni. Le centrali nucleari d'Arak e di Tatanz saranno soggette, come tutte le altre, a continue ispezioni dell'Agenzia atomica dell'Onu, tese a controllare la produzione dell'uranio arricchito, combustibile indipensabile per il nucleare militare. L'arsenale di Parchin sarà soggetto a verifiche concordate. E le armi che vi si trovano, cioè quelle convenzionali, sanno sottoposte a embargo, come i missili mobili, per cinque anni. Dopo l'approvazione del Consiglio di Sicurezza l'Iran dovrà prepararsi per tre mesi ad applicare i vari capitoli dell'accordo. Quest'ultimo dovrebbe essere rispettato nel suo insieme all'inizio del prossimo anno.
Oggi, stando agli esperti più ottimisti nelle valutazioni tecniche, l'Iran sarebbe in grado di realizzare una bomba atomica nello spazio di due mesi. Applicate tutte le clausole dell'accordo di Vienna, la sua capacità si allungherebbe a 12. Queste valutazioni hanno subito e subiscono molte variazioni. Gli specialisti israeliani hanno spesso contraddetto il loro primo ministro, che accorciava drammaticamente i tempi di preparazione della bomba. Ma adesso i giudizi divergono in particolare sulla fiducia, sull'efficacia dei controlli e su quello che accadrà quando sarà scaduto l'accordo. Ossia tra una decina di anni. Gli scettici e gli scontenti non mancano nei due campi. Tra gli stessi iraniani c'è chi considera il documento di Vienna una gabbia in cui il suo paese resterà imprigionato.
Ma la posta in gioco non è soltanto il nucleare. Se l'accordo del 14 luglio sarà applicato, l'Iran recupererà il ruolo di grande potenza della regione. La ripresa degli introiti del petrolio, ridotti dalle sanzioni, il rilancio dell'economia favorito dagli investimenti stranieri impazienti di riversarsi su un paese di 80 milioni di persone ansiose di consumare, il riavvio dell'attività bancaria con l'Occidente, insieme al ritorno alla normalità in tanti altri settori accrescerà l'influenza della Repubblica islamica fondata da Khomeini. Gli alleati tradizionali dell'America, quali l'Arabia Saudita e Israele, non perdonano a Obama di avere favorito, anzi voluto, il ritorno in società a pieno titolo del loro avversario. Non credono nell'efficacia della camicia di forza sul nucleare imposta dai negoziatori dei sei paesi impegnati nelle trattative (Russia, Gran Bretagna, Francia, Cina, Stati Uniti più Germania). L'Iran diventa un partner economico, politico e militare di grande rilievo.
Vladimir Putin è pronto ad accoglierlo nel Brics (6), il club dei paesi emergenti animato oltre che dalla Russia, da Cina, India, Brasile, Sudafrica. E il suo peso nella crisi mediorientale è destinato ad aumentare. Le milizie sciite, finanziate e spesso comandate da iraniani sono già, insieme a quelle curde, le forze più efficaci nella lotta contro il califfato, che occupa un vasto territorio a cavallo di Iraq e Siria. Gli Hezbollah libanesi, spina nel fianco di Israele, ma anche efficienti alleati del regime di Damasco, sono di fatto un appendice di Teheran. Secondo una scuola di pensiero il più ampio ruolo del regime degli ayatollah inaspirirà il conflitto. Altri invece, e tra questi Barack Obama, contano sul pragmatismo dimostrato dai negoziatori di Vienna. Tenaci, polemici, orgogliosi, ma infine pronti ad accettare severi condizionamenti pur di uscire dall'isolamento. Insomma pronti ai compromessi e a una cooperazione.

(1) grande Satana = gli U.S.A.
(2) regime canaglia = l’Iran
(3) teocrazia = tipo di governo in cui il potere è nelle mani dei capi della religione; in Iran il capo religioso fu per molti anni l’ayatollah Khomeini, che nel 1979 guidò una rivoluzione contro lo scià di Persia, ossia il re dell’Iran, che fu costretto a fuggire
(4) know how = l’insieme di conoscenze necessarie per fare qualcosa, in questo caso per costruire la bomba atomica
(5) sanzioni = si tratta di sanzioni economiche, ossia di limitazioni nei rapporti commerciali ed economici tra uno stato e un altro; in questo caso da anni gli U.S.A. e altri Paesi non hanno rapporti economici e commerciali con l’Iran (con notevoli danni per l’Iran, cioè per la gente comune, perché quelli che sono al potere non subiscono mai niente!)
(6) Brics = acronimo che indica i Paesi emergenti negli ultimi anni, cioè Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica

Ragazzi e tablet

PUBBLICATO DAL PROF. D'ITALIANO:



Ogni giorno otto ore al tablet
"Per i piccoli è una droga"
Di ELENA DUSI


Cara, vecchia Tv. La baby sitter di una generazione è stata (quasi) mandata in soffitta da un esercito di agguerriti smartphone e tablet. Ai genitori i telecomandi per spegnere tutto ormai non bastano più, anche perché i nuovi strumenti sono ben custoditi nelle tasche e nelle camere dei ragazzi, anziché nel salotto di casa.
Un bambino di 7 anni in Gran Bretagna ne ha già trascorso uno a tu per tu con uno schermo. Un bambino americano di 8 anni passa 8 ore al giorno con i media elettronici. Un ragazzo tra i 13 e i 17 anni negli Usa spedisce 3.364 sms al mese, di cui 34 al giorno dopo aver spento la luce la sera. In Italia l'81 per cento dei tredicenni si collega a internet tutti i giorni. Per il 12% accedere a un social network è la prima attività dopo il risveglio e per il 35 per cento l'ultima prima del sonno.
Secondo gli ultimi dati della Società italiana di pediatria, il rapporto tra adolescenti e internet è sempre più privato - il 71% dei tredicenni si collega alla rete con il proprio telefonino - e lontano dal controllo dei genitori. Il 46% degli adolescenti passa da 1 a 3 ore al giorno sul web e il 26% supera le 3 ore. Per 6 giovani su 10 internet è «irrinunciabile » e quasi uno su 4 senza i suoi amici virtuali «si sente solo». Ma l'uso di Whatsapp (il social network prediletto per l'81% dei ragazzi) e Facebook (tre adolescenti su quattro hanno un profilo) rende gli utenti raggiungibili giorno e notte, trasformando il calcolo delle ore di connessione in un'operazione senza senso. «La migrazione dal computer al telefonino - spiega Giovanni Corsello, presidente della Società italiana di pediatria - impedisce ai genitori di rendersi conto del tempo trascorso dai figli sui social network. E agevola l'abuso notturno, rubando ore preziose al sonno dei ragazzi».
Negli Stati Uniti, secondo una ricerca del 2010 della Kaiser Family Foundation citata dal New York Times , i genitori hanno ormai abdicato al loro ruolo di controllo: due su tre non impongono neanche una regola sull'uso di tablet, tv, telefonini e videogiochi. E la passione per gli schermi luminosi va a colonizzare fasce d'età sempre più precoci. Ad aprile di quest'anno una ricerca dell'ospedale di Philadelphia Einstein Healthcare Network ha trovato che il 36% dei bambini inizia a maneggiare un telefonino o un tablet ancor prima di aver compiuto un anno.
Se l'attaccamento eccessivo all'elettronica è diventato un'epidemia mondiale o quasi, c'è un Paese che ha deciso di affrontarla con i muscoli. La Cina ha classificato la dipendenza da internet come una malattia e per curarla ha aperto centri di riabilitazione dove nessuno spiraglio è lasciato alla libertà di smanettare su schermi e tastiere. Al programma militaresco imposto a tre adolescenti "internati" per tre mesi nella Internet addiction clinic di Pechino è dedicato il documentario shock Web Junkie . «Un po' di ironia - è al contrario la ricetta suggerita dallo psicoterapeuta Fulvio Scaparro - per far sì che i ragazzi si rendano conto da soli di quanto la realtà sia più vasta di uno schermo». Ai genitori Scaparro consiglia di offrire alternative altrettanto accattivanti della realtà virtuale. «Non è un caso che nei periodi di vacanza l'uso di internet crolli. Per i bambini arriva finalmente il momento di correre, giocare e azzuffarsi. La vita si impara vivendo, ma in casa e in città spesso ci sono poche attività da offrire. I genitori hanno il compito di trovare delle alternative più affascinanti di telefonini e videogiochi».

(pubblicato da la Repubblica, martedì 14 luglio 2015, anniversario della presa della Bastiglia a Parigi)