mercoledì 3 febbraio 2016

Fonti energetiche in Italia: pro e contro



POSTATO DAL PROF. DI ITALIANO:
Ne abbiamo parlato proprio oggi durante la supplenza di Tecnologia; leggete questo articolo e fatelo leggere al prof. di Tecnologia

Sotto l'Italia c'è un tesoro
la corsa all'oro nero
vale nove miliardi l'anno
di Paolo Griseri

Una piattaforma petrolifera nel Mare Adriatico

Non è vero che l'Italia è povera di risorse naturali. Il problema è che le sfrutta male. Questo sostengono i fautori delle trivellazioni per la ricerca di nuovi giacimenti di gas e petrolio. Sul fronte opposto combattono i teorici dell'abbandono delle fonti energetiche fossili «a favore di un diverso modello di sviluppo», come ha detto nei giorni scorsi il governatore della Puglia, Michele Emiliano.
I numeri sono chiari. Dai pozzi italiani nel 2014 sono stati estratti 5,7 milioni di tonnellate di petrolio e 7,3 miliardi di metri cubi di gas naturale. Cifre importanti. Perché rappresentano il 10,3 per cento del fabbisogno di petrolio e l'11,8 del consumo di gas del Paese. Tutto questo ci fa risparmiare ogni anno 4,5 miliardi di euro sulla bolletta energetica. I dati di Assomineraria, l'associazione di settore di Confindustria, dicono che la nostra dipendenza dall'estero in fatto di bolletta energetica è molto superiore alla media europea: i Paesi nel Vecchio Continente importano il 53 per cento del loro fabbisogno di carburanti mentre in Italia la percentuale schizza all'82. E, particolare significativo, questo divario è rimasto sostanzialmente immutato dagli anni Settanta ad oggi.
Quanto potranno incidere nel futuro degli approvvigionamenti energetici italiani le fonti alternative? Lo studio presentato nel 2012 da Rie (Ricerche industriali ed energetiche) per conto di Assomineraria, basato su dati Terna, non è molto incoraggiante. Nel 2025 continueremo a dipendere per il 74 per cento da petrolio e gas (rispettivamente 35 e 39 per cento del fabbisogno nazionale) mentre l'incidenza delle energie rinnovabili non supererà il 15 per cento (era l'11 nel 2010). Il problema è che petrolio e gas li importiamo. E al 60 per cento provengono da aree politicamente complicate come Russia e Algeria. Le importazioni ci costano: nel 2011 abbiamo pagato 63 miliardi di euro, il 4 per cento del pil. È difficile immaginare che nuovi pozzi e nuovi giacimenti possano azzerare quella spesa. Ma le potenzialità di miglioramento della bilancia energetica sembrano significative. Nel 2010 si stimava che i giacimenti petroliferi in territorio italiano non sfruttati valessero 187 milioni di tep, le tonnellate equivalenti di petrolio. In quello stesso anno la produzione italiana era stata solo di 5,1 milioni di tep. Analoga la situazione per il gas: la produzione italiana nel 2010 è stata di 6,3 milioni di tep contro riserve stimate in 82,4 milioni. Lo stesso studio ipotizzava, ma eravamo nel 2012 e si sono già persi tre anni, che una politica di apertura di nuovi pozzi avrebbe potuto raddoppiare la produzione di petrolio e gas entro 15 anni. Passando da 11,9 milioni di tep (5,3 di petrolio e 6,6 di gas) a 21,6 milioni di tep complessivi. Un salto notevole che porterebbe da 4,5 a 9 miliardi di euro il risparmio sulla bolletta energetica italiana a prezzi costanti. Ma soprattutto, si legge nello studio, le attività di ricerca e trivellazione consentirebbero di aggiungere «alle riserve accertate ampie riserve individuabili di petrolio e di gas nell'ordine di 265 milioni di tep, accertabili solo a seguito di adeguati investimenti in esplorazione». È su quei 265 milioni di tep che si gioca la battaglia delle trivellazioni. Con scontro sui costi e sull'ambiente. Oltre che sui posti di lavoro. Per cercare nuovi giacimenti, le aziende promettono investimenti per 17 miliardi nell'arco dei prossimi quattro- cinque anni. Mettono in campo le cifre dell'occupazione di un settore che con 117 piattaforme a mare e 30 siti di produzione a terra (il principale in val d'Agri, Basilicata) dà da lavorare a oltre 10mila addetti diretti e a più di 20mila nell'indotto.
Contro le convenienze economiche e occupazionali si schierano i timori degli ambientalisti: il pericolo di sversamenti in mare e il rischio di movimenti tellurici legati all'estrazione del gas. Il coordinamento No Triv ipotizza che le attività estrattive in Emilia Romagna possano aver causato il sisma del 2012 e che la tecnica di esplorazione air gun, che consiste nello sparare sul fondale aria compressa, possa alterare l'equilibrio della fauna marina. Assomineraria risponde che nel 2014 gli sversamenti in mare sono stati nulli e che non ci sono prove di relazione tra terremoti e attività estrattiva. «Al largo di Ravenna — aggiungono i sostenitori delle perforazioni — le piattaforme off shore sono diventate meta turistica e ospitano prelibate colonie di cozze». Sarà. Ma è difficile immaginare che le cozze faranno cambiare idea ai No Triv.

(pubblicato da la Repubblica il 20 gennaio 2016)

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