POSTATO DAL PROF DI ITALIANO:
L’articolo (pubblicato da la Repubblica domenica 4 ottobre 2015) è
scritto con una certa raffinatezza lessicale e sintattica. Mi piacerebbe che i
miei alunni contassero tutte le parole che non conoscono e le riportassero in
classe, per discuterne assime.
"Mi piacci tanto"
sui social la fuga
dal seduttore sgrammaticato
di Stefano Bartezzaghi
Il proverbio dice "Moglie e
buoi dei paesi tuoi". Paesi, non siti. Deve esserci sotto, infatti, un
problema di globalizzazione se oggi c'è chi si accorge (con dovizia di
statistiche e commenti di linguisti togati) che lo snobismo grammaticale è uno
dei criteri con cui i frequentatori di siti per incontri galanti scelgono i
possibili partner. Un tale Jeff Cohen, racconta il Wall Street Journal, ha disertato un appuntamento promettente perché
la sua per altri versi sconosciuta pretendente gli ha scritto: «Ci vediamo
loro» (their) anziché "là" (there). Benvenuti, amici americani! In
Italia la pagina Facebook "Scartare corteggiatori e potenziali amanti per
gli errori grammaticali" è attiva dal luglio del 2010, ed è seguita da
centomila utenti e più. Se Jeff Cohen avesse letto «vorrei baciare le tue
dolcissime l'abbra», come è capitato a una seguace della pagina Facebook di cui
sopra, avrebbe forse approfittato della liberalità della legislazione americana
in tema di possesso di armi personali. Quanto meno, ci avrebbe pensato.
Parrebbe allora che Internet abbia spianato i simmetrici stereotipi che una
volta associavano il massimo della femminilità al tipo dell'oca e il massimo della virilità al tipo
della bestia. Neanche vent'anni fa
Paolo Virzì descriveva in Ovosodo un
certo tipo di condizione maschile: «Un congiuntivo in più, un dubbio
esistenziale di troppo e venivi bollato per sempre come finocchio». Gli esempi
femminili si sprecano. Ma sarà proprio vero che esibire un eloquio cruscante
sia divenuto, all'improvviso, un viatico per una vita di relazione intensamente
felice e variegata? C'è da dubitarne. È che quando ci si conosce solo tramite
la scrittura, anche i dettagli prendono importanza.
Conoscendosi nel mondo si sa
subito come si parla, come ci si comporta, come si appare. In Rete, invece,
grande parte della propria identità è consegnata alla scrittura, ciò che suona
ironico rispetto alle ordinarie accuse di superficialità, virtualità, se non
irrealtà che si muovono alle relazioni telematiche. Un errore di sintassi o di
ortografia, inoltre, rimane scritto, e come i classici secondo Italo Calvino
non ha mai finito di dire quello che ha da dire.
Una volta Renzo Arbore confessò
di aver lasciato una sua morosa pugliese perché la stessa pronunciava la parola
"tesoro" con un'inflessione per niente accattivante. Insomma, non era
cosa. Oggi questo genere di insofferenza risulta però aver raggiunto livelli un
po' esagerati. Il Wall Street Journal
parla apertamente di "crimes against grammar", crimini contro la
grammatica, e molti intransigenti censori del linguaggio altrui amano definirsi
"grammar nazi", nazisti della grammatica: dimostrano così un sense of humour non certo all'altezza
delle loro fisime puriste. Quale tendenza alla sciatteria è scandalosamente
rivelata da una mancata consecutio? E siamo così certi dell'irreprensibilità
del nostro stesso eloquio?
Da quando mogli e mariti (e
chissà i buoi) non vengono più cercati negli immediati paraggi, siamo tutti
costretti a confrontarci con le intolleranze linguistiche altrui: oltre
all'aspetto esteriore e alla gradevolezza dei modi, tutti dobbiamo interrogarci
sull'orecchiabilità della nostra calata regionale e sulla sostenibilità della
nostra competenza grammaticale. Curiosamente non è un problema per chi parla in
pubblico per lavoro, perché anzi negli ultimi decenni gli accenti locali
sembrano essere addirittura enfatizzati anche dagli speaker dei telegiornali (un
servizio al tg sulla camorra sembra quasi più credibile se l'inflessione è
quella autoctona). Ma per iscritto, e nel privato, gli errori diventano
crimini. Se una persona che si interessa a noi dimostra di esprimersi
"male" (secondo i nostri parametri) ci sentiamo pressoché offesi.
Mettere la circostanza sul piano legalitario è probabilmente esagerato, ma in
tale reazione si intravvede come un sussulto interessante: c'è un livello di
competenza linguistica riteniamo dignitoso e sotto al quale non ammettiamo che
si scenda. Se il bacio di Cyrano era un apostrofo, scrivendo è meglio cercare
di non piazzarlo nel punto sbagliato.
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