venerdì 10 aprile 2015

Ancora sui rom: 2 interviste e 1 commento



POSTATO DAL PROF DI ITALIANO:

Mercoledì 8 aprile 2015 il leader della Lega Nord ha detto durante una trasmissione televisiva che “i campi rom andrebbero rasi al suolo”; naturalmente quando i politici dicono delle stupidaggini (magari per sperare di avere il voto dei cittadini) c’è sempre qualcuno che protesta e ne parla sui giornali, pur sapendo che è tutta pubblicità gratuita. Io da adulto non ne posso più, né dei politici scemi, né dei giornalisti che li seguono; i miei alunni, che sono ancora giovani, avranno di sicuro meno pregiudizi di me, perciò li invito a leggere queste 2 interviste e il commento di Michele Serra, apparse ieri (9 aprile 2015) su la Repubblica.

INTERVISTA 1 a Don Paolo Cristiano, sacerdote della Comunità di Sant’Egidio:
"Contro di loro solo pregiudizi,
la nostra società si spaventa
davanti a povertà e diversità"

"I ROM? Spesso non sono accettati perché vittime di pregiudizi. La nostra società fatica ad accettare la diversità ed è spaventata dalla povertà. Ma il pregiudizio è sempre menzognero: non permette di vedere davvero chi si ha di fronte".
Don Paolo Cristiano, sacerdote della Comunità di Sant'Egidio, vive a Ferentino, in Ciociaria. Per quasi venti anni ha guidato un dopo scuola per i bambini che vivono nei campi rom. Al di là dei pregiudizi, chi sono i rom?
"Un popolo di bambini che necessitano di aiuto e affetto. Per la maggior parte sono stanziali, abitano in Italia da anni, qui da noi ce ne sono molti abruzzesi e molisani. Un popolo mite, che non ha mai rivendicato terre con guerre e conflitti. Che non si è mai imposto. Eppure è un popolo che soffre il disprezzo e la discriminazione. Rappresentano la più grande minoranza europea. Qui da noi vivono quasi tutti in appartamenti, in case come quelle di tutti gli altri. E molti hanno anche un lavoro. Conosco rom pizzaioli, altri che guidano gli autobus a Roma, molti hanno piccoli negozi o attività proprie. Una ragazza rom di qui sta attualmente frequentando la facoltà di giurisprudenza".
Alcuni però vivono ancora nei campi. Cosa pensa di quelle situazioni?
"Sono purtroppo sono costretti a farlo. Quelle situazioni riguardano soprattutto i rom arrivati dall'est Europa, rinchiusi in questi campi che altro non sono che ghetti. Penso che questa è una logica che andrebbe superata. Perché i rom sono persone come noi: con le stesse domande, con la stessa esigenza di significato, con lo stesso desiderio di Dio. Al doposcuola i bambini chiedono il perché delle loro sofferenze, di quelle dei loro genitori e dei loro amici rom che spesso muoiono in tenera età. E hanno importanti tradizione religiose: ci sono infatti rom di tradizione ortodossa, musulmana, sono tutte persone con vivono un grande senso religioso. Spesso però finiscono per sentirsi disorientati. Perché desidererebbero affidarsi a qualcuno ma non trovano aiuto. Vorrebbero riuscire a superare le piccole e grandi barriere con le quali sono costretti a vivere ma spesso la nostra società non lo permette".

INTERVISTA 2 a Moni Ovadia, scrittore e attore ebreo:
"Non hanno Stato né governo
mai avuto eserciti o fatto guerre
e da secoli vengono perseguitati"

«LE RADICI dell'odio nei loro confronti sono dentro di noi: nutrite dalla paura dell'altro, per storia e tradizioni. È una realtà che attraversa i secoli». Moni Ovadia, scrittore, attore, regista, ebreo nato in Bulgaria e milanese di adozione non ha dubbi.
Un odio lungo secoli?
«É la storia dell'umanità, la cultura maschile ha odiato temuto e tenuto in soggezione la donna perché portatrice di diversità, poi è toccato agli ebrei, in fuga e nei ghetti per secoli, vittime di maldicenze e persecuzioni perché sentiti estranei e quindi pericolosi. Ora gli ebrei sono diventati più uguali, sono inseriti, non sono più quelli della diaspora. Hanno uno Stato, un governo, un esercito che li difende. I nomadi no».
Rom odiati perché senza storia e difese?
«Non hanno uno Stato, un governo, mai avuto un esercito, né chi racconti all'esterno delle comunità la loro storia. Tranne un bellissimo libro di un rom abruzzese, Spinelli, che narra il loro calvario, dal Medioevo a oggi, con milioni di vittime anche nei campi di concentramento. Dimenticate da tutti».
Ma alcuni rubano, scippano...
«E perché a Napoli o Milano i ragazzini italiani non rubano? Eppure nessuno pensa di incendiare Portici o di mettere il filo spinato. Noi italiani che abbiamo quattro mafie e bruciamo ogni anno miliardi di euro tra criminalità e corruzione puntiamo il dito contro di loro? Ridicolo. Come in ogni popolo c'è l'onesto e l'imbroglione. Eppure, è contro rom e sinti che si scatena il livore, perché diversi, vissuti come nemici, estranei, sconosciuti. Capaci di metterci in discussione».
Vittime dei luoghi comuni?
«Ci sono luoghi comuni sui sinti e rom nomadi e ladri, quando invece la maggior parte è stanziale, ha case e lavora. E luoghi comuni su gli italiani brava gente quando, invece, ormai è provato: hanno fatto massacri in Africa peggio dei nazisti».
Che fare?
«Invece di seguire Salvini che minaccia di radere al suolo i campi solo perché va a caccia di voti, solleticando la parte più povera e meno colta della popolazione, dovremmo investire soldi, creare incontri, comunicazione, mediazione. Spendere per i poveri, i pensionati italiani ma anche per i rom e sinti».


LA POLITICA DELLA FEROCIA
di Michele Serra

È SPERABILE e forse probabile che Matteo Salvini, quando dice che bisognerebbe "radere al suolo i campi Rom", abbia in mente qualcosa di meno insolente e meno violento. Per esempio che, con congruo preavviso, quei campi andrebbero sgomberati.
Perché, allora, Salvini dice proprio "raderli al suolo"? Lo dice perché è al tempo stesso artefice e vittima di uno dei più funesti equivoci della scena politica italiana degli ultimi anni. L'idea che il "parlare come si mangia" sia un decisivo passo avanti; mentre è un penoso, umiliante passo indietro.
La politica è — da sempre — il tentativo di dare una forma, anche verbale, alle pulsioni di massa. Di renderle, diciamo così, presentabili in pubblico, e non per il piacere privato di quattro intellettuali, ma per dare una voce più intellegibile e dunque più autorevole soprattutto a chi voce non ha. Che quella dei campi rom sia una questione sociale rilevante, e lo sia tanto per i rom quanto per chi con quei campi convive, è perfettamente vero. Ma nemmeno il più ottuso e infelice dei politici, a meno che sia un nazista (e Salvini non lo è) può dire pubblicamente che quei campi vanno "rasi al suolo" senza attirarsi la dura critica e lo spregio di chi (per esempio la Caritas) la politica la fa sul campo. La fa nelle strade e nelle case, nelle periferie e nei campi nomadi, non nei "salotti del centro" tanto invisi a Salvini: e proprio per questo conosce le difficoltà, la fatica, la povertà, il degrado, le paure, il dolore umano, insomma la maledetta complicazione del problema. E detesta le semplificazioni becere, quelle scodellate in tivù per cercare l'applauso facile.
L'urlaccio, il grido minaccioso, il borborigmo che non trova sbocchi non sono politica. Sono, della politica, un ingrediente bruto che chi fa politica ha il dovere di elaborare. Ignorare quegli ingredienti per non sporcarsi le mani è un vizio grave. Ma ficcarcele dentro, le mani, estraendone i peggiori effluvi e le più dolenti frattaglie come trofei, è il vizio opposto. In questo vizio sguazza, fino dalle sue origini, la Lega, che della sua matrice "popolana" si fa un vanto. Non rendendosi conto che il politicamente scorretto, per quanto lucroso (a tratti) e per quanto di facilissimo conio, ha il difetto strutturale di non riuscire a risolvere neanche mezzo problema.
Se il politicamente corretto è spesso ipocrita, il politicamente scorretto è sempre impotente, rabbia da parata, smargiassata mediatica, niente che odori di soluzione anche parziale, anche imperfetta dei problemi. Niente che possa diventare governo, egemonia culturale, nuova identità condivisa e operativa. Se non si è Hitler o Tamerlano il politicamente scorretto, la minaccia feroce, le soluzioni finali sono solamente il segno della più fragorosa inettitudine.
A questo danno interno, il politicamente scorretto aggiunge i danni inflitti, suo malgrado, alla comunità intera. Come un contagio. La dequalificazione del linguaggio politico, la sua capillare corrosione fa male a tutti indistintamente. Contamina, indebolisce, danneggia, peggiora, incanaglisce: diventa parte integrante del discredito della politica e della classe dirigente. Un personaggio come Razzi, oggi considerato una amabile macchietta, fino a non troppi anni fa sarebbe stato visto come una figura scandalosa o un caso umano da soccorrere.
Quando ci si abitua a sdoganare l'insolenza, l'aggressività e l'ignoranza come ragioni identitarie, niente può più sbalordire e niente può più indignare. Fino a vent'anni fa a dire che bisogna "radere al suolo" i campi rom era qualche personaggio da bar. Nei bar si diceva (e si dice) anche molto peggio. Ma trasformare la polis in un bar vuol dire non avere alcun rispetto né della polis, né del bar.


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