POSTATO DAL PROF DI
ITALIANO:
Mercoledì 8 aprile 2015 il leader
della Lega Nord ha detto durante una trasmissione televisiva che “i campi rom
andrebbero rasi al suolo”; naturalmente quando i politici dicono delle
stupidaggini (magari per sperare di avere il voto dei cittadini) c’è sempre
qualcuno che protesta e ne parla sui giornali, pur sapendo che è tutta
pubblicità gratuita. Io da adulto non ne posso più, né dei politici scemi, né dei
giornalisti che li seguono; i miei alunni, che sono ancora giovani, avranno di
sicuro meno pregiudizi di me, perciò li invito a leggere queste 2 interviste e
il commento di Michele Serra, apparse ieri (9 aprile 2015) su la Repubblica.
INTERVISTA 1
a Don Paolo Cristiano, sacerdote della Comunità di Sant’Egidio:
"Contro di loro solo pregiudizi,
la nostra società si spaventa
davanti a povertà e diversità"
"I ROM? Spesso non sono
accettati perché vittime di pregiudizi. La nostra società fatica ad accettare
la diversità ed è spaventata dalla povertà. Ma il pregiudizio è sempre
menzognero: non permette di vedere davvero chi si ha di fronte".
Don Paolo Cristiano,
sacerdote della Comunità di Sant'Egidio, vive a Ferentino, in Ciociaria. Per
quasi venti anni ha guidato un dopo scuola per i bambini che vivono nei campi
rom. Al di là dei pregiudizi, chi sono i rom?
"Un popolo di bambini che
necessitano di aiuto e affetto. Per la maggior parte sono stanziali, abitano in
Italia da anni, qui da noi ce ne sono molti abruzzesi e molisani. Un popolo
mite, che non ha mai rivendicato terre con guerre e conflitti. Che non si è mai
imposto. Eppure è un popolo che soffre il disprezzo e la discriminazione.
Rappresentano la più grande minoranza europea. Qui da noi vivono quasi tutti in
appartamenti, in case come quelle di tutti gli altri. E molti hanno anche un
lavoro. Conosco rom pizzaioli, altri che guidano gli autobus a Roma, molti
hanno piccoli negozi o attività proprie. Una ragazza rom di qui sta attualmente
frequentando la facoltà di giurisprudenza".
Alcuni però vivono ancora
nei campi. Cosa pensa di quelle situazioni?
"Sono purtroppo sono
costretti a farlo. Quelle situazioni riguardano soprattutto i rom arrivati
dall'est Europa, rinchiusi in questi campi che altro non sono che ghetti. Penso
che questa è una logica che andrebbe superata. Perché i rom sono persone come
noi: con le stesse domande, con la stessa esigenza di significato, con lo
stesso desiderio di Dio. Al doposcuola i bambini chiedono il perché delle loro
sofferenze, di quelle dei loro genitori e dei loro amici rom che spesso muoiono
in tenera età. E hanno importanti tradizione religiose: ci sono infatti rom di
tradizione ortodossa, musulmana, sono tutte persone con vivono un grande senso
religioso. Spesso però finiscono per sentirsi disorientati. Perché
desidererebbero affidarsi a qualcuno ma non trovano aiuto. Vorrebbero riuscire
a superare le piccole e grandi barriere con le quali sono costretti a vivere ma
spesso la nostra società non lo permette".
INTERVISTA 2
a Moni Ovadia, scrittore e attore ebreo:
"Non hanno Stato né governo
mai avuto eserciti o fatto guerre
e da secoli vengono perseguitati"
«LE RADICI dell'odio nei loro confronti sono dentro di noi:
nutrite dalla paura dell'altro, per storia e tradizioni. È una realtà che
attraversa i secoli». Moni Ovadia, scrittore, attore, regista, ebreo nato in
Bulgaria e milanese di adozione non ha dubbi.
Un odio lungo secoli?
«É la storia dell'umanità, la cultura maschile ha odiato
temuto e tenuto in soggezione la donna perché portatrice di diversità, poi è toccato
agli ebrei, in fuga e nei ghetti per secoli, vittime di maldicenze e
persecuzioni perché sentiti estranei e quindi pericolosi. Ora gli ebrei sono
diventati più uguali, sono inseriti, non sono più quelli della diaspora. Hanno
uno Stato, un governo, un esercito che li difende. I nomadi no».
Rom odiati perché
senza storia e difese?
«Non hanno uno Stato, un governo, mai avuto un esercito, né
chi racconti all'esterno delle comunità la loro storia. Tranne un bellissimo
libro di un rom abruzzese, Spinelli, che narra il loro calvario, dal Medioevo a
oggi, con milioni di vittime anche nei campi di concentramento. Dimenticate da
tutti».
Ma alcuni rubano,
scippano...
«E perché a Napoli o Milano i ragazzini italiani non rubano?
Eppure nessuno pensa di incendiare Portici o di mettere il filo spinato. Noi
italiani che abbiamo quattro mafie e bruciamo ogni anno miliardi di euro tra
criminalità e corruzione puntiamo il dito contro di loro? Ridicolo. Come in
ogni popolo c'è l'onesto e l'imbroglione. Eppure, è contro rom e sinti che si
scatena il livore, perché diversi, vissuti come nemici, estranei, sconosciuti.
Capaci di metterci in discussione».
Vittime dei luoghi
comuni?
«Ci sono luoghi comuni sui sinti e rom nomadi e ladri,
quando invece la maggior parte è stanziale, ha case e lavora. E luoghi comuni
su gli italiani brava gente quando, invece, ormai è provato: hanno fatto
massacri in Africa peggio dei nazisti».
Che fare?
«Invece di seguire Salvini che minaccia di radere al suolo i
campi solo perché va a caccia di voti, solleticando la parte più povera e meno
colta della popolazione, dovremmo investire soldi, creare incontri,
comunicazione, mediazione. Spendere per i poveri, i pensionati italiani ma
anche per i rom e sinti».
LA POLITICA DELLA FEROCIA
di Michele Serra
È SPERABILE e forse probabile che
Matteo Salvini, quando dice che bisognerebbe "radere al suolo i campi
Rom", abbia in mente qualcosa di meno insolente e meno violento. Per
esempio che, con congruo preavviso, quei campi andrebbero sgomberati.
Perché, allora, Salvini dice
proprio "raderli al suolo"? Lo dice perché è al tempo stesso artefice
e vittima di uno dei più funesti equivoci della scena politica italiana degli
ultimi anni. L'idea che il "parlare come si mangia" sia un decisivo
passo avanti; mentre è un penoso, umiliante passo indietro.
La politica è — da sempre — il
tentativo di dare una forma, anche verbale, alle pulsioni di massa. Di
renderle, diciamo così, presentabili in pubblico, e non per il piacere privato
di quattro intellettuali, ma per dare una voce più intellegibile e dunque più
autorevole soprattutto a chi voce non ha. Che quella dei campi rom sia una
questione sociale rilevante, e lo sia tanto per i rom quanto per chi con quei
campi convive, è perfettamente vero. Ma nemmeno il più ottuso e infelice dei
politici, a meno che sia un nazista (e Salvini non lo è) può dire pubblicamente
che quei campi vanno "rasi al suolo" senza attirarsi la dura critica
e lo spregio di chi (per esempio la Caritas) la politica la fa sul campo. La fa
nelle strade e nelle case, nelle periferie e nei campi nomadi, non nei
"salotti del centro" tanto invisi a Salvini: e proprio per questo
conosce le difficoltà, la fatica, la povertà, il degrado, le paure, il dolore
umano, insomma la maledetta complicazione del problema. E detesta le
semplificazioni becere, quelle scodellate in tivù per cercare l'applauso
facile.
L'urlaccio, il grido minaccioso,
il borborigmo che non trova sbocchi non sono politica. Sono, della politica, un
ingrediente bruto che chi fa politica ha il dovere di elaborare. Ignorare
quegli ingredienti per non sporcarsi le mani è un vizio grave. Ma ficcarcele
dentro, le mani, estraendone i peggiori effluvi e le più dolenti frattaglie
come trofei, è il vizio opposto. In questo vizio sguazza, fino dalle sue
origini, la Lega, che della sua matrice "popolana" si fa un vanto.
Non rendendosi conto che il politicamente scorretto, per quanto lucroso (a
tratti) e per quanto di facilissimo conio, ha il difetto strutturale di non
riuscire a risolvere neanche mezzo problema.
Se il politicamente corretto è
spesso ipocrita, il politicamente scorretto è sempre impotente, rabbia da
parata, smargiassata mediatica, niente che odori di soluzione anche parziale,
anche imperfetta dei problemi. Niente che possa diventare governo, egemonia
culturale, nuova identità condivisa e operativa. Se non si è Hitler o Tamerlano
il politicamente scorretto, la minaccia feroce, le soluzioni finali sono
solamente il segno della più fragorosa inettitudine.
A questo danno interno, il
politicamente scorretto aggiunge i danni inflitti, suo malgrado, alla comunità
intera. Come un contagio. La dequalificazione del linguaggio politico, la sua
capillare corrosione fa male a tutti indistintamente. Contamina, indebolisce,
danneggia, peggiora, incanaglisce: diventa parte integrante del discredito
della politica e della classe dirigente. Un personaggio come Razzi, oggi
considerato una amabile macchietta, fino a non troppi anni fa sarebbe stato
visto come una figura scandalosa o un caso umano da soccorrere.
Quando ci si abitua a sdoganare
l'insolenza, l'aggressività e l'ignoranza come ragioni identitarie, niente può
più sbalordire e niente può più indignare. Fino a vent'anni fa a dire che
bisogna "radere al suolo" i campi rom era qualche personaggio da bar.
Nei bar si diceva (e si dice) anche molto peggio. Ma trasformare la polis in un
bar vuol dire non avere alcun rispetto né della polis, né del bar.
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