POSTATO DAL PROF. DI ITALIANO R.S.
Questi 2 articoli cascano a pennello con il nostro blog; leggeteli
Social network
Se Facebook entra in classe
ecco come usarlo a lezione
Per gli
studenti connettersi è un'abitudine, ora i docenti provano a sfruttarlo per la
didattica
di Vera Schiavazzi
Ci sono i cinque in condotta dati
agli studenti del liceo classico Garibaldi di Napoli per essere stati così
ingenui da postare le loro foto su Facebook mentre occupavano l'istituto, o le
quattro sospensioni per altrettanti ragazzi della scuola media Michelangelo di
Bari che avevano iniziato ad ingiuriare sullo stesso social la professoressa di
inglese. Ma anche la foto osé destinata al fidanzato che un'insegnante
dell'istituto tecnico Casale di Vigevano ha mandato per sbaglio al gruppo
WhatsApp della sua classe, finendo nei guai con la preside e scusandosi in
aula.
Ormai non ci si interroga più sulle amicizie vietate o meno tra prof e studenti, ma sull'uso globale dei social che ha varcato i confini della scuola, inducendo gli adulti ad arrendersi o a mediare. Presto, Facebook sarà usato anche a lezione.
Ormai non ci si interroga più sulle amicizie vietate o meno tra prof e studenti, ma sull'uso globale dei social che ha varcato i confini della scuola, inducendo gli adulti ad arrendersi o a mediare. Presto, Facebook sarà usato anche a lezione.
Intanto però meno del 9 per cento
dei docenti italiani sceglie di stare in un gruppo ristretto con i propri
allievi: magari sarebbe utile per la didattica, i compiti e le vacanze, ma il
rischio, a cominciare da quello di lavorare di più, è davvero alto. "Non
ci siamo ancora dati un regolamento preciso per i gruppi tra studenti e
docenti - dice Chiara Alpestre, preside del liceo classico
D'Azeglio di Torino - ma quando sento che i professori lo fanno non
posso che esserne contenta.
Più di uno ha preferito però
creare blog appositi anziché utilizzare WhatsApp o Facebook. Per contro, l'uso
del cellulare per copiare nei compiti in classe è una forte tentazione per i
ragazzi. Non vogliamo chiedere che i telefoni vengano consegnati prima della
prova perché continuiamo a puntare sulla fiducia, ma il controllo è altissimo e
a volte insufficiente".
Per Daniele Grassucci,
caporedattore di skuola. net a Roma, il più importante sito di informazioni
promosso direttamente da studenti, "la maggior parte dei ragazzi usa
abitualmente il proprio smartphone in classe. Solo un rapporto adeguato tra
studenti e professori può limitare un uso sproporzionato di questa pratica e
creare buone prassi didattiche, mentre oggi il 50 per cento di chi studia non
ne ha mai sentito parlare nella propria scuola". E sempre skuola. net
sciorina dati che fanno riflettere: il 33 per cento degli studenti usa il
gruppo WhatsApp di classe per preparare compiti e verifiche, ma il 50 lo fa per
scambiare informazioni e appuntamenti e il 9,6 per "scherzare e
giocare".
Nell'81,5 per cento dei casi, i
professori non usano mai Facebook per comunicare la data di un compito o un
altro contenuto didattico. È un grave errore per quello che potrebbe diventare
un corretto "galateo dei social": "La censura sull'uso dei
cellulari non è più applicabile - dice Alberto Parola, docente di
Psicologia sperimentale all'Università di Torino e autore di "Sperimentare
e innovare nella scuola" per Franco Angeli - Credo che
l'etichetta dei social in classe possa dividersi in cinque regole: primo, usare
Facebook e gli altri mezzi rispettando le regole della privacy, secondo
promuovere la cultura della partecipazione coinvolgendo tutti, terzo
condividere qualcosa di artistico e cercare chi ha le nostre passioni, quarto
(per gli adulti) utilizzarlo come occasioni di apprendimento, quinto lasciare
che la classe possa esprimere le sue dinamiche di gruppo: è anche un gioco di
ruolo. Così, Facebook si può usare anche durante le lezioni".
E per Rosa Rizzo, preside del
liceo scientifico Galilei di Palermo, enfatizzare l'uso dei gruppi ristretti
tra studenti e prof può avere un senso, ma bisogna anche imporre l'idea che i
social si debbano usare in modo corretto e legale fuori e dentro le aule:
"Noi abbiamo promosso incontri per la legalità proprio su questo. Non
basta mettere nel regolamento che in aula i cellulari sono vietati, bisogna che
tutti i ragazzi sappiano che i social vanno usati nel rispetto del prossimo anche
una volta suonata la campanella. Siamo così soddisfatti che tra poco
estenderemo queste lezioni anche alle scuole medie del quartiere: certe cose è
meglio impararle il prima possibile".
Così la scuola mette in Rete la convivenza
di Mariapia Veladiano
DIFFICILE trovare qualcosa di
intrinsecamente sconveniente nell'irruzione dei social a scuola. Nei social si
entra (molto moltissimo) ed esce (pochissimo) con precisi gesti volontari. Si
interagisce per (libera) scelta. Si scrive in prima persona, nessuno prende il
nostro posto. Le relazioni al tempo dei social non sembrano pretendere regole
speciali rispetto alle altre forme di relazione: non offendere, non seminar
menzogne, rispetta i ruoli, di' la verità o anche nulla se non la vuoi o puoi
dire.
Silenzio, se non hai di che
parlare.
Ci sono insegnanti che hanno
felicemente piegato alla didattica anche WhatsApp, lo strumento nato per
chattare più amato dai giovanissimi. Hanno creato gruppi classe con cui scambiano
chiarimenti, inviano risultati, variazioni di orario e immagini.
Gli studenti che creano i gruppi
classe o di istituto in fb fanno qualcosa di molto più sensato e meno
pericoloso rispetto al viaggiare casuale e virtuale nella rete, perché in
questo caso gli amici di fb sono i compagni di classe e di scuola, il rapporto
c'è dentro e fuori la rete.
Certo son mezzi che pretendono un
aggiornamento di attenzione. Tendono, questo sì intrinsecamente, a scavallare i
confini. Tutti, prof e studenti, "amici". Ma anche no, se qualcuno il
confine lo tiene. E in un rapporto educativo è l'adulto che lo deve fare.
Adulto professore e adulto
genitore. Perché poi ci sono i genitori "amici" nei social, spesso
più affatturati dei loro figli adolescenti, e allora la fatica di tenere il
confine è davvero improba.
E tendono anche, questi social, a
farsi percepire come planetaria zona assurdamente franca rispetto alla buona
educazione e quando i gruppi dei social sono chiusi, può capitare, alla fine di
un rosario di condivisioni, di scoprire la nostra dignità disarcionata da una
raffica di insulti senza qualità e verità, scatenati da una piccola coorte di
adolescenti senza contenimento o dal più affollato esercito dei loro genitori.
"La cortesia è la capacità
di far star bene gli altri", scriveva Giovanna Axia nel suo rigoroso e
scientificamente incantevole "Elogio della cortesia". La convivenza è
la bella vocazione della scuola. A quel formidabile moltiplicatore di
narcisismo che è il mondo dei social, gli altri interessano davvero?
Entrambi gli articoli sono apparsi su la Repubblica mercoledì 18 febbraio 2015
Nessun commento:
Posta un commento