giovedì 19 febbraio 2015

Social network a scuola?



 POSTATO  DAL  PROF.  DI  ITALIANO R.S.
Questi 2 articoli cascano a pennello con il nostro blog; leggeteli

Social network
Se Facebook entra in classe
ecco come usarlo a lezione
Per gli studenti connettersi è un'abitudine, ora i docenti provano a sfruttarlo per la didattica

di Vera Schiavazzi


Ci sono i cinque in condotta dati agli studenti del liceo classico Garibaldi di Napoli per essere stati così ingenui da postare le loro foto su Facebook mentre occupavano l'istituto, o le quattro sospensioni per altrettanti ragazzi della scuola media Michelangelo di Bari che avevano iniziato ad ingiuriare sullo stesso social la professoressa di inglese. Ma anche la foto osé destinata al fidanzato che un'insegnante dell'istituto tecnico Casale di Vigevano ha mandato per sbaglio al gruppo WhatsApp della sua classe, finendo nei guai con la preside e scusandosi in aula.
Ormai non ci si interroga più sulle amicizie vietate o meno tra prof e studenti, ma sull'uso globale dei social che ha varcato i confini della scuola, inducendo gli adulti ad arrendersi o a mediare. Presto, Facebook sarà usato anche a lezione.
Intanto però meno del 9 per cento dei docenti italiani sceglie di stare in un gruppo ristretto con i propri allievi: magari sarebbe utile per la didattica, i compiti e le vacanze, ma il rischio, a cominciare da quello di lavorare di più, è davvero alto. "Non ci siamo ancora dati un regolamento preciso per i gruppi tra studenti e docenti  -  dice Chiara Alpestre, preside del liceo classico D'Azeglio di Torino  -  ma quando sento che i professori lo fanno non posso che esserne contenta.
Più di uno ha preferito però creare blog appositi anziché utilizzare WhatsApp o Facebook. Per contro, l'uso del cellulare per copiare nei compiti in classe è una forte tentazione per i ragazzi. Non vogliamo chiedere che i telefoni vengano consegnati prima della prova perché continuiamo a puntare sulla fiducia, ma il controllo è altissimo e a volte insufficiente".
Per Daniele Grassucci, caporedattore di skuola. net a Roma, il più importante sito di informazioni promosso direttamente da studenti, "la maggior parte dei ragazzi usa abitualmente il proprio smartphone in classe. Solo un rapporto adeguato tra studenti e professori può limitare un uso sproporzionato di questa pratica e creare buone prassi didattiche, mentre oggi il 50 per cento di chi studia non ne ha mai sentito parlare nella propria scuola". E sempre skuola. net sciorina dati che fanno riflettere: il 33 per cento degli studenti usa il gruppo WhatsApp di classe per preparare compiti e verifiche, ma il 50 lo fa per scambiare informazioni e appuntamenti e il 9,6 per "scherzare e giocare".
Nell'81,5 per cento dei casi, i professori non usano mai Facebook per comunicare la data di un compito o un altro contenuto didattico. È un grave errore per quello che potrebbe diventare un corretto "galateo dei social": "La censura sull'uso dei cellulari non è più applicabile  -  dice Alberto Parola, docente di Psicologia sperimentale all'Università di Torino e autore di "Sperimentare e innovare nella scuola" per Franco Angeli  -  Credo che l'etichetta dei social in classe possa dividersi in cinque regole: primo, usare Facebook e gli altri mezzi rispettando le regole della privacy, secondo promuovere la cultura della partecipazione coinvolgendo tutti, terzo condividere qualcosa di artistico e cercare chi ha le nostre passioni, quarto (per gli adulti) utilizzarlo come occasioni di apprendimento, quinto lasciare che la classe possa esprimere le sue dinamiche di gruppo: è anche un gioco di ruolo. Così, Facebook si può usare anche durante le lezioni".
E per Rosa Rizzo, preside del liceo scientifico Galilei di Palermo, enfatizzare l'uso dei gruppi ristretti tra studenti e prof può avere un senso, ma bisogna anche imporre l'idea che i social si debbano usare in modo corretto e legale fuori e dentro le aule: "Noi abbiamo promosso incontri per la legalità proprio su questo. Non basta mettere nel regolamento che in aula i cellulari sono vietati, bisogna che tutti i ragazzi sappiano che i social vanno usati nel rispetto del prossimo anche una volta suonata la campanella. Siamo così soddisfatti che tra poco estenderemo queste lezioni anche alle scuole medie del quartiere: certe cose è meglio impararle il prima possibile".


Così la scuola mette in Rete la convivenza

di Mariapia Veladiano

DIFFICILE trovare qualcosa di intrinsecamente sconveniente nell'irruzione dei social a scuola. Nei social si entra (molto moltissimo) ed esce (pochissimo) con precisi gesti volontari. Si interagisce per (libera) scelta. Si scrive in prima persona, nessuno prende il nostro posto. Le relazioni al tempo dei social non sembrano pretendere regole speciali rispetto alle altre forme di relazione: non offendere, non seminar menzogne, rispetta i ruoli, di' la verità o anche nulla se non la vuoi o puoi dire.
Silenzio, se non hai di che parlare.
Ci sono insegnanti che hanno felicemente piegato alla didattica anche WhatsApp, lo strumento nato per chattare più amato dai giovanissimi. Hanno creato gruppi classe con cui scambiano chiarimenti, inviano risultati, variazioni di orario e immagini.
Gli studenti che creano i gruppi classe o di istituto in fb fanno qualcosa di molto più sensato e meno pericoloso rispetto al viaggiare casuale e virtuale nella rete, perché in questo caso gli amici di fb sono i compagni di classe e di scuola, il rapporto c'è dentro e fuori la rete.
Certo son mezzi che pretendono un aggiornamento di attenzione. Tendono, questo sì intrinsecamente, a scavallare i confini. Tutti, prof e studenti, "amici". Ma anche no, se qualcuno il confine lo tiene. E in un rapporto educativo è l'adulto che lo deve fare.
Adulto professore e adulto genitore. Perché poi ci sono i genitori "amici" nei social, spesso più affatturati dei loro figli adolescenti, e allora la fatica di tenere il confine è davvero improba.
E tendono anche, questi social, a farsi percepire come planetaria zona assurdamente franca rispetto alla buona educazione e quando i gruppi dei social sono chiusi, può capitare, alla fine di un rosario di condivisioni, di scoprire la nostra dignità disarcionata da una raffica di insulti senza qualità e verità, scatenati da una piccola coorte di adolescenti senza contenimento o dal più affollato esercito dei loro genitori.
"La cortesia è la capacità di far star bene gli altri", scriveva Giovanna Axia nel suo rigoroso e scientificamente incantevole "Elogio della cortesia". La convivenza è la bella vocazione della scuola. A quel formidabile moltiplicatore di narcisismo che è il mondo dei social, gli altri interessano davvero?

Entrambi gli articoli sono apparsi su la Repubblica mercoledì 18 febbraio 2015

Nessun commento:

Posta un commento