POSTATO DAL PROF D’ITALIANO:
Forse qualcuno pensa che il pc a
scuola risolva tutti i problemi, ma non è così. È ovvio: il computer (il tablet
e via discorrendo) è solo uno strumento, mentre il cervello di un ragazzo è
molto di più. Il pc può aiutare e può rovinare, dipende da come si usa, come si
insegna a usarlo, come si è capaci di usarlo. Comunque leggete questo articolo
e fatevi un’idea vostra.
Se il pc a scuola non aiuta i ragazzi
"Risultati peggiori in lettura e
scienze"
di Corrado Zunino
Lo dice l'Ocse, che è
l'organizzazione dei paesi al mondo più industrializzati: non vi è certezza che
i grandi investimenti pubblici e familiari su computer in classe e connessioni
internet a scuola migliorino le performance scolastiche dei nostri ragazzi. Il
programma Ocse per la valutazione degli studenti, guidato da Andreas
Schleicher, ha elaborato un dossier — "Making the connection" — che,
tra molte cautele, sostiene: «Studenti incapaci di navigare attraverso un
complesso paesaggio digitale non saranno in grado di partecipare completamente
alla vita economica, sociale e culturale intorno a loro», tuttavia «i primi
risultati comparativi basati sui test Pisa dicono che i quindicenni che usano
moderatamente i computer a scuola tendono ad avere un miglior apprendimento dei
coetanei che lo usano poco o nulla, ma quelli che lo utilizzano in modo
massiccio tendenzialmente peggiorano nella lettura, in matematica e nelle
scienze». Risulta, questo, nei paesi più avanzati, che negli ultimi quindici
anni hanno investito forti risorse nell'informatica. Inoltre, la tecnologia
scolastica spinta allarga la forbice di apprendimento ("skills divide") tra ricchi e
poveri. In Italia siamo quarti (su quaranta) nel rapporto tra condizioni
economiche e performance educative: i poveri che usano troppo internet vanno
davvero male a scuola.
Nelle nazioni in cui stare online
in classe è abitudine si assiste a un declino della capacità di lettura, e così
nell'esercizio della matematica (sedici paesi migliorano, venti peggiorano).
L'Italia è settima in digital reading, alta in classifica quindi, e sulla
matematica tra il 1993 e il 2012
ha guadagnato venti punti. Il risultato, secondo lo studio
Ocse, è da attribuire al fatto che da noi la cultura di internet a scuola è
recente e frammentaria: non facciamo parte dei paesi che hanno investito
strutturalmente sull'online e quindi non avvertiamo ancora i peggioramenti
scolastici che ne derivano. Ogni quindicenne italiano usa il computer in classe
19 minuti al giorno, contro una media Ocse di 25 minuti e picchi in Grecia (42
minuti) e Australia (52). Corea e Shanghai, che hanno le migliori perfomance
mondiali in lettura digitale e matematica al computer, hanno pc solo nella
minoranza delle loro scuole (42% e 38%).
Il dossier lascia molte domande
inevase, ma tenta una prima interpretazione della questione "troppo
internet non fa crescere l'apprendimento". Uno, in nessun passaggio
educativo si può prescindere da un'interazione intensiva docente-discente e la
tecnologia a volte distrae da questo fondamentale «rapporto umano». Due,
l'insegnamento non è ancora adeguato: un‘ipertecnologia del XXI secolo oggi si
inserisce su una pedagogia del Ventesimo. Infine, i software educativi sono
ancora di basso livello, «molto inferiori ai giochi elettronici» che i
quindicenni nel mondo sono abituati a maneggiare. «Se gli studenti usano gli
smartphone per fare copia e incolla delle risposte prefabbricate non diventeranno
più intelligenti. La tecnologia può amplificare un grande insegnamento, non
sostiturne uno mediocre». L'Ocse chiede agli insegnanti di diventare agenti
attivi del cambiamento, «non solo per far crescere le innovazioni digitali, ma
per disegnarle ». I docenti che meglio integrano computer e lezioni sono anche
quelli più innovativi e vicini ai ragazzi nelle pratiche di insegnamento.
L'adolescente che usa internet
più di sei ore il giorno, in classe si sente più solo, arriva tardi a scuola,
la salta. E un eccessivo uso del web regala povere perfomance accademiche. Sono
pochi gli studenti italiani, rivela l'Ocse, che dicono: «A scuola mi sento
solo». Tra il 5 e il 9 per cento. Una sana arretratezza.
Pubblicato su la Repubblica il 15 settembre 2015
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